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Bosco della Falanga

Il bosco della Falanga è un luogo unico dove natura, storia rurale e antiche testimonianze della vita contadina si fondono in un paesaggio di castagneti, case scavate nel tufo e tracce della viticoltura eroica ischitana.
Una delle tante case di pietra scavate ne tufo verde presenti nel bosco della Falanga

Descrizione

Situato tra le pendici del Monte Epomeo e il crinale che accoglie il borgo di Santa Maria al Monte, il bosco della Falanga rappresenta uno dei luoghi più suggestivi e ricchi di storia dell’isola d’Ischia. È un’area che unisce il fascino della natura alla memoria delle attività rurali che per secoli hanno modellato questo versante dell’isola.

Oggi la Falanga è un bosco ombroso e fresco, ideale per le escursioni anche nelle giornate più calde grazie al fitto castagneto che mantiene l’aria sorprendentemente piacevole. In passato, però, questo luogo aveva un aspetto completamente diverso: fino agli inizi dell’Ottocento le pendici erano occupate da vigne e terrazzamenti coltivati, e il paesaggio conservava un carattere marcatamente agricolo. Ancora oggi numerosi dettagli rimandano a quell’epoca: muretti a secco, antichi terrazzamenti e tracce della viticoltura d’altura.

Tra gli elementi più caratteristici della Falanga ci sono le case scavate nei grandi massi di tufo precipitati dall’Epomeo. Alcune di queste strutture rupestri sono arrivate fino a noi in condizioni straordinariamente buone: all’interno sono ancora visibili nicchie, ganci in pietra, piccole aree destinate al focolare e spazi adibiti al ricovero di animali e attrezzi. L’opera dell’uomo si fonde con quella della natura: il tempo, gli agenti atmosferici e l’erosione hanno modellato l’esterno dei blocchi tufacei creando forme plastiche, rientranze e superfici scolpite che conferiscono alle rocce un aspetto quasi artistico. All’ingresso di molte di queste cavità era consuetudine dipingere grandi croci bianche di calce, utilizzate sia come simbolo devozionale sia come deterrente per gli animali selvatici.

L’intera area è inoltre costellata dalle antiche fosse della neve, profonde cavità utilizzate per conservare neve e ghiaccio raccolti durante l’inverno. Queste “neviere” alimentavano, fino a buona parte del Novecento, una vera e propria attività stagionale: i cosiddetti nevaioli si occupavano della raccolta, della pressatura e della conservazione della neve che, durante l’estate, veniva poi trasportata a valle per rinfrescare bevande, produrre sorbetti e alimentare le cucine delle taverne dell’isola. La qualità del ghiaccio della Falanga era così apprezzata che, secondo le cronache, persino Ferdinando IV ne assaggiò una granita nel 1783, contribuendo a rendere celebri i nevaioli come fornitori della corte borbonica.

Un altro prezioso retaggio del passato agricolo della Falanga sono i palmenti rupestri, scavati nel tufo e utilizzati per la pigiatura dell’uva. Alcuni di essi presentano ancora le due vasche comunicanti tipiche dell’antica lavorazione del mosto, e uno in particolare è ritenuto tra i più antichi dell’isola, ricordato in documenti medievali relativi ai casali ischitani.

Nel corso del tempo, la zona fu anche oggetto di interventi di rimboschimento, soprattutto durante il periodo borbonico, quando la Falanga divenne parte delle riserve di caccia reali. La graduale diminuzione delle coltivazioni d’altura e la fine delle incursioni saracene contribuirono al progressivo ritorno del bosco, che oggi restituisce al visitatore un ambiente fresco, silenzioso e ricco di biodiversità.

La Falanga è quindi molto più di un semplice bosco: è un luogo dove natura, storia rurale e tradizioni secolari convivono in equilibrio, offrendo un viaggio nel passato dell’isola e un’esperienza unica nel cuore del suo paesaggio montano.

Mappa

Indirizzo: PVJP+X7 Forio NA, Italia
Coordinate: 40°43'56,9''N 13°53'8,3''E Indicazioni stradali (Apre il link in una nuova scheda)

Modalità di accesso

Si può raggiungere salendo da Santa Maria al Monte o scendendo dai Frassitelli. La passeggiata in questo bosco è parte del Cammino di Tifeo Il Gigante che dorme, e del sentiero del Tufo Verde e delle Case di Pietra e del sentiero 501 tracciato dal CAI.

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